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L’edificio condominiale comprende l’intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e, quindi, in base al combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c.,si estende anche ai vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge; il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’aerea superficiaria che è alla base dell’edificio condominiale, ancorchè non menzionato espressamente nell’art. 1117 c.c., va, pertanto, considerato di proprietà comune, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, indipendentemente dalla sua destinazione.
Il singolo condomino, senza il consenso degli altri partecipanti
alla comunione, non può procedere all’escavazione in profondità del
sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti,
giacchè con l’attrarre la cosa nell’orbita della sua disponibilità
esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte
comune dell’edificio
La realizzazione di vano nel sottosuolo del Condominio concreta
un’innovazione sulla cosa comune vietata dall’art. 1120 c.c., II comma e,
come evidenziato dalla sentenza oggetto di commento, viola altresì’
la disposizione dell'articolo 1102 c.c., in quanto, da un lato impedisce agli
altri condomini di fare del sottosuolo e del relativo sedime un pari uso, e,
dall’ altro, non permette, al di là dell'attualità di tale compromissione,
ogni ulteriore, eventuale utilizzazione di detti beni, nell'interesse comune
della collettività dei condomini, in considerazione della vastità della
superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo
(ripostiglio) del tutto incompatibile con la natura condominiale del bene
utilizzato, attesa la destinazione del sedime del fabbricato e della colonna
d'aria compresa tra il sedime e l'appartamento a piano terra del ricorrente.
In quanto comportante l’inservibilità, per gli altri condomini
della cosa comune ogni deliberazione assembleare adottata a maggioranza dei
presenti è da considerarsi radicalmente nulla.
La vietata innovazione potrebbe altresi’ compromettere la statica
del fabbricato condominiale, ma più direttamente, considerata la posizione,
potrebbe venire ad incidere, ex art. 1120 c.c., II comma, sulla stabilità e
sicurezza degli appartamenti sovrastanti, i quali proprietari avranno precipuo
interesse ad accertare attraverso un’idonea perizia, redatta, eventualmente,
da apposito collegio di tecnici concordemente nominato, se siano state poste in
essere tutte le cautele e gli accorgimenti necessari atti ad eliminare in radice
ogni e qualsivoglia pericolo di danno o crollo strutturale della loro unità
abitativa;
Ciascun comproprietario in quanto titolare di un diritto che, sia
pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti,
investe l’area comune come il sottosuolo, è pienamente legittimato ad agire e
resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della
cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino.
L’azione con la quale il condomino di un edificio chiede la
rimozione di opere, che altro condomino abbia effettuato sulla cosa comune in
violazione della disciplina dettata dagli artt. 1102,1120, ha natura reale e
pertanto non è suscettibile di prescrizione.
La rei
vindicatio tende a far recuperare il bene all'attore, ma nella specie
l'azione esercitata dal Condominio, accanto alla finalità di accertare il pari
diritto di tutti i condomini sull'area di sedime del fabbricato - accertamento
costituente la premessa logica dell'accertamento della violazione dell'articolo
1102 c.c. - aveva anche la finalità di ottenere la rimessione in pristino dello
stato dei luoghi. In tal modo, l'azione esercitata viene ad assumere una duplice
natura: reale, con riferimento
all'accertamento della proprietà condominiale e della violazione dell'articolo
1102 c.c., e personale, con
riferimento alla richiesta di condanna alla restitutio
in integrum.
2- Poste queste
premesse vale la pena rilevare quale siano gli effetti sul piano amministrativo
del mancato riconoscimento della proprietà esclusiva del vano illegittimamente
scavato dal singolo condomino.
La validità di eventuale concessione edilizia in sanatoria soggiace, come è noto, al pieno rispetto dei requisiti di legge; a tal riguardo, occorre precisare che, la domanda volta al rilascio della concessione edilizia può essere presentata unicamente dal proprietario o da colui il quale vanti un diritto reale (es. servitu’) o personale (es. locazione) che lo abiliti giuridicamente a disporre del suolo (cfr. art. 4 , I comma, L. 28 gennaio 1977 n.10). In base ad un recente orientamento giurisprudenziale la posizione di possessore, concretante una relazione di mero fatto ancorché tutelata, non legittima il rilascio della concessione edilizia in capo al possessore stesso senza il consenso del legittimo proprietario, quale unico soggetto titolare dell’effettiva disponibilità edificatoria ai sensi dell’art. 4 L. 28 gennaio 1977 n.10, così come richiamato dall’art. 31 L. 28 febbraio 1985 n. 47
Il rilascio della
concessione edilizia pertiene specificatamente ad un procedimento che esaurisce
i suoi effetti nell’ambito del rapporto pubblicistico tra il singolo
richiedente e la P.A., dovendo comunque rispettare e far sempre salvi i diritti
di proprietà spettanti di terzi oltre che le contrarie esigenze di pubblico
interesse o, infine, impedimenti legali;il
necessario ed imprescindibile rispetto dei diritti del terzo è comunque parte
integrante della relativa concessione edilizia in essa, infatti, sempre
menzionato con la conseguenza che ogni condomino, in quanto leso nelle sue
facoltà di godimento della cosa comune, conserva sempre il diritto di ottenere
il risarcimento dei danni oppure la riduzione in ripristino delle opere
abusivamente costruite.
Eventuali dichiarazioni del richiedente rese in ottemperanza alle norme che presiedono il procedimento concessorio, in ordine al possesso dei requisiti di legge e l’assenza di impedimenti legali, qualora risultassero non corrispondenti al vero costituirebbero- in ipotesi- illecito penale di falso ideologico rilevante giuridicamente, ai sensi dell’art. 483 c.p
La giurisprudenza
penale ritiene imputabile di falsità ideologica mediata in atto pubblico ex
art. 48 e 479 c.p. il privato che, incaricato un professionista qualificato di
ottenere la concessione edilizia e, quindi, di assolvere il compito di pubblico
servizio volto a fornire all’Amministrazione comunale esatte informazioni
sullo stato dei luoghi e del ristrutturando locale, alleghi documentazione non
veritiera inducendo in errore la P.A
3- L’art. 1117
c.c. stabilisce solo una presunzione in comunione del bene escavato nel
sottosuolo ben potendo il singolo condomino divenirne proprietario esclusivo in
base a valido titolo debitamente trascritto o attraverso il meccanismo della
realizzazione di fattispecie acquisitiva a titolo originario qual’ è quella
dell’usucapione.
A tale ultimo
riguardo, giova rilevare che il vano potrebbe non risultare usucapito per
mancato decorso del termine ventennale di legge, considerato che l’immissione
nel possesso del predetto locale potrebbe essere avvenuta sia nel segno della
clandestinità- con la conseguenza che il potere di mero fatto acquistato sulla
cosa giova solo a partire dal momento in cui “la clandestinità è cessata”
(art. 1163 c.c.)- sia, inoltre, nell’abusivismo, in aperto dispregio cioè
della regola di buona fede, valevole per l’usucapione decennale (art. 1159
c.c.). In relazione a tale ultimo profilo, occorre accertare se, nel caso di
specie, difetti o meno il requisito di legge del titolo (astrattamente) idoneo
al trasferimento del vano ed in particolare se ricorra l’imprescindibile
assoluta identità tra l’immobile posseduto e quello acquistato “a non
domino”
Secondo
l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione la
buona fede, di cui all’art. 1147 cod. civ., che rileva - in base a tale norma
- ai fini dell’acquisto della proprietà di beni immobili "a non
domino", non giova a chi compie l’acquisto ignorando di ledere l’altrui
diritto per colpa grave, la quale è configurabile quando quell’ignoranza sia
dipesa dall’omesso impiego, da parte del preteso acquirente “a non
domino”, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente
avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l’idoneità dell’acquisto a
determinare la lesione dell’altrui diritto, poiché "non
intelligere quod omnes intellegunt"
costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di
buona fede.
In ipotesi di acquisto "a non domino" la circostanza che
il titolo contenga elementi idonei per consentire con la normale diligenza di
escludere o comunque dubitare della titolarità in capo all’alienante del
diritto trasferito può essere ostativa all’usucapione decennale ai sensi
dell’art. 1159 cod. civ. ove evidenzi il difetto di buona fede del possessore;
ne consegue che la presunzione di buona fede nell’acquisto può ritenersi
superata anche nel caso in cui il preteso possessore ad usucapione m
sia stato in grado di accertare o comunque dubitare che l’alienante non
fosse il proprietario del fondo mediante opportuna verifica catastale della
corrispondenza fra il diritto trasferitogli e quello ricevuto dal suo dante
causa.
Un’ultima breve annotazione: poiché il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può- in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti ( v. art. 1350 c.c.)- essere provato in base alla mera annotazione dei dati nei registri catastali, che assumono il valore di semplici indizi; ne consegue che ogni risultanza catastale a nome del singolo proprietario ed in suo favore relativamente al vano escavato può non avere alcun valore giuridico in ordine alla contestata titolarità del diritto di proprietà (jus in re propria)