Collegio dei Geometri della Provincia di AGRIGENTO

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Condominio. Partecipazione alla titolarità delle parti comuni. In difetto di particolare disposizione del titolo, la partecipazione alla titolarità dei beni comuni deriva dal collegamento funzionale fra queste e le porzioni di proprietà esclusiva. Conseguentemente, se una mansarda non era servita ab origine dall’impianto di riscaldamento, il proprietario di essa non partecipa alla titolarità dell’impianto di riscaldamento.

I proprietari delle unita' immobiliari (nella specie, mansarde) che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non siano servite dall'impianto di riscaldamento centralizzato non possono legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, perché questo non é legato alle dette unita' immobiliari da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all'uso o al servizio delle medesime. Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno, difatti, se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso (ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio. ( Cass. N° 7727 del 7 giugno 2000)

Condominio. Uso delle parti comuni. L’appoggio di una canna fumaria al muro di facciata e la apertura di piccoli fori rientrano nelle facoltà consentite al singolo condomino, purché nel caso concreto non vengano pregiudicati i diritti degli altri partecipanti al condominio ovvero non venga pregiudicato l’interesse comune.

L'appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l'apertura di piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino - pertanto - può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l' altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno - quest'ultimo - che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull'insieme dell'armonico aspetto dello stabile. ( Cass. n° 6341 del 16 maggio 2000)

 

Condominio. Parti comuni. Le parti comuni dell’edificio vengono determinate essenzialmente dal collegamento funzionale fra queste e le porzioni di proprietà esclusiva. Deve cioè trattarsi di parti che siano necessarie per l’uso delle proprietà esclusive. Una porzione dell’edificio non può essere ricompreso nel novero delle parti comuni, vuoi in applicazione delle clausole contenute nel titolo, vuoi perché esso serve unicamente talune delle proprietà private.

Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune (nella specie spazio esterno al fabbricato assimilato al cortile). Di tali parti l'art. 1117 cod. civ. fa un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa. La disposizione può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario. Ma principalmente la norma può essere derogata dal titolo, vale a dire da un atto di autonomia privata che, espressamente, disponga un diverso regime delle parti di uso comune ( Cass. N° 7889 del 9 giugno 2000)

 

 

Condominio. Parti comuni. Nella nozione giuridica di cortile ( che pure nella sua accezione letterale dovrebbe riguardare unicamente gli spazi compresi fra i corpi di fabbrica dell’edificio, debbono intendersi compresi anche gli spazi a verde, le zone di rispetto, le intercapedini e i parcheggi, posto che anche dette aree adempiono alla funzione di dare aria e luce.

Il cortile, tecnicamente, è l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 cod. civ., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione. ( Cass. N° 7889 del 9 giugno 2000)

Condominio – parti comuni: parcheggi. La clausola con la quale si proceda alla vendita della unità immobiliare non accompagnata dalla cessione dello spazio destinato a parcheggio ai sensi della Legge Ponte è affetta da nullità assoluta. Tale clausola deve essere sostituita da quella che corrisponda alla osservanza del precetto legale, con cessione della titolarità del posto auto e diritto del venditore a percepire una indennità, quale corrispettivo per la perdita della proprietà del parcheggio, così da ripristinare l’originario equilibrio fra prezzo e valore della cosa venduta.

Alla nullità del contratto di compravendita di unità immobiliari, nella parte in cui risulti sottratta (mediante riserva al venditore o trasferimento a terzi) la superficie destinata alla inderogabile funzione di parcheggio, consegue la integrazione della convenzione negoziale "ope legis", con l'attribuzione, in favore dell'acquirente dell'unita' immobiliare, del diritto reale d'uso di tale area, e, in favore dell'alienante, del corrispettivo ulteriore (da concordarsi tra le parti, o, in difetto, da determinarsi dal giudice), così ripristinando direttamente l'equilibrio del sinallagma contrattuale. ( Cass. sentenza N° 4977 del 18 aprile 2000)

Condominio. Parti comuni: cavedio. Il Cavedio ha la medesima funzione del cortile e come è il cortile deve considerarsi parte comune ai sensi dell’articolo 117 c.c.

Il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 cod. civ. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario. . (Cass. sentenza N° 4350 del 7 aprile 2000)

1.      Condominio. Possesso delle parti comuni. Il singolo condomino esercita il possesso sulle parti comuni che sono oggettivamente utili alla sua unità immobiliari e che ad essa sono materialmente collegate, senza che occorra una sua particolare attività. Il possesso su tali parti comuni deriva infatti direttamente dal beneficio che il condomino ricava grazie alla detta destinazione funzionale e il singolo condomino può invocare la tutela possessoria ( ad esempio) sul suolo sul quale sorge l’edificio ovvero sulla facciata, senza che occorra la dimostrazione di alcuna particolare attività che connoti la signoria su quella porzione. Invece, quando si tratti di cose che non presentano lo stesso collegamento materiale con la singola porzione immobiliare e sulle quali si esercita il godimento solo attraverso i concreti atti di utilizzazione ( scale, stenditoi e simili) la tutela possessoria richiede la dimostrazione della particolare situazione di fatto e cioè della materiale utilizzazione del bene, secondo le modalità e per i periodi descritti dal codice civile.

Il possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, e perciò la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o per aria condizionata). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano e soltanto per traslato il proprietario - trae da tali utilità; nel secondo caso nell'espletamento della predetta attività da parte del proprietario. ( Cassazione sentenza N° 855 del 26 gennaio 2000)

Condominio. Parti comuni. La presunzione di appartenenza al novero delle parti comuni può essere superata solo dalla espressa disposizione contrattuale e non da elementi interpretativi ambigui ed impliciti. Essa concerne tutte le scale esistenti nell’edificio condominiale e destinate a collegare le unità immobiliari all’entrata dello stabile. La titolarità comune di una scala non può essere esclusa solo perché il regolamento ne menzioni espressamente una altra quale accesso al lastrico solare comune.

La presunzione di proprietà condominiale delle scale non viene superata dal mero fatto per cui il regolamento condominiale, tra varie scale esistenti per l'accesso al lastrico di copertura, ne privilegi una, espressamente indicandola come normale via di accesso ad esso. ( Sent. n° 13196 del 26 /12 1999)

Condominio. Modificazione delle cose comuni. Il singolo condomino non deve determinare illecite ( notevoli ) invadenze nel concorrente diritto degli altri proprietari di usare le cose comuni.

Il limite che l'art. 1102 cod. civ. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino e' quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorche' non ne sia impedito l'uso. ( Cass. 11520 del 13 ottobre 1999 )

Condominio. Uso delle cose comuni. Il singolo condomino può aprire un varco nel muro comune per collegare la sua proprietà esclusiva con il suolo condominiale, purché il suolo comune già sia destinato al passaggio e non pregiudichi il godimento da parte degli altri condomini.

In tema di condominio di edifici l'apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprieta' esclusiva di un singolo condomino con quello comune non da luogo alla costituzione di una servitu' (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene gia' usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l'opera realizzata non pregiudichi l'eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio. (Cass.N° 8591 del 11 agosto 1999)

Condominio. Uso delle cose comuni. E’ legittima la escavazione del sottosuolo comune da parte di un condomino, purché la stessa non determini la inservibilità del bene comune a danno anche di un solo condomino.

L'escavazione del sottosuolo condominiale da parte di un condomino per collegare con una scala le unita' immobiliari al piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua proprieta' esclusiva, non comporta appropriazione del bene comune e non costituisce innovazione vietata, perche' non determina l' inservibilita' del bene comune all'uso e al godimento a cui e' destinato. ( Cass. 5546 del 5 giugno 1999 )

Condominio. Parti comuni Usucapione. Il possesso efficace per l’acquisto a titolo originaria, attraverso l’usucapione, presuppone sia il godimento del bene che comportamenti diretti ad escludere gli altri condomini dalla utilizzazione di esso.

Il godimento del ben comune può essere invocato dal comproprietario, al fine dell'usucapione della proprietà dello stesso, solo quando si traduca in un possesso esclusivo con riguardo sia al "corpus" che all'"animus" incompatibile con il permanere del compossesso altrui. ( Cass.sentenza N° 6382 del 23 giugno 1999)

Condominio.Uso delle parti comuni.Il singolo condomino ha diritto di usare i muri maestri per fare correre al loro interno delle tubazioni nel proprio esclusivo interesse. "La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro maestro dell' edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o comproprietà, di altro condomino. (Cass.1162 del 11 febbraio 1999 )"

2.      Condominio. Presunzione di appartenenza alle proprietà comuni. Detta presunzione può essere vinta solo dal titolo e non dalla dimostrazione di utilizzazione della porzione immobiliare a vantaggio di un solo condomino, al momento del frazionamento delle proprietà "La presunzione di proprietà condominiale sulle strutture essenziali all'esistenza dell'edificio, elencate nell'art. 1117 n. 1 cod. civ.- nella specie scale - può esser superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio, ovvero da tutti i condomini successiva mente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condomino, mentre la stessa presunzione non può esser superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all'uso esclusivo del singolo condomino. .(Cass.1568 del 24 febbraio 1999)"

3.      Condominio. Uso delle cose comuni attraverso la locazione delle stese. La locazione di un locale comune rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione, ove non comporti alterazione apprezzabile dei diritti dei singoli condomini. "La conclusione del contratto di locazione di un appartamento condominiale è da considerarsi atto di amministrazione ordinaria, essendo possibile conseguire la finalità del "miglior godimento delle cose comuni" anche attraverso l'accrescimento dell'utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto); ne consegue che, ove l'amministratore del condominio abbia locato il bene condominiale anche in assenza di un preventivo mandato che lo abilitasse a tanto, deve ritenersi valida la ratifica del suddetto contratto di locazione disposta dall'assemblea dei condomini con deliberazione adottata a maggioranza semplice. (Cass.10446 del 21 ottobre 1998 )"

  1. Le norme inderogabili ( generalmente, quelle elencate nell'articolo 1138 c.c.) non possono essere disattese neppure dal regolamento contrattuale. Le disposizioni contenute nell'articolo 1102 c.c., che invece non è inderogabile, possono essere disattese dal regolamento contrattuale.Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini, non puo' derogare alle disposizioni richiamate dall'art. 1138 comma quarto cod. civ. e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre e' possibile la deroga alle disposizioni dell'art. 1102 cod. civ. non dichiarato inderogabile. (Cass.N* 11268 del 9 novembre 1998)
  2. Parti comuni dell'edificio. La presunzione disciplinata dall'articolo 1117 c.c. comporta che, quando si sia in presenza di una delle parti contenute negli elenchi formulati da tale norma di legge, sia il singolo proprietario che vanta i suoi diritti esclusivi sul bene a dovere fornire la prova di tale situazione giuridica."In tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene indicato nell'art. 1117 cod. civ., deve fornire la prova della sua asserita proprieta' esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell'usucapione. ( Cass.N°. 11268 del 9 novembre 1998)"
  3. Condominio - Uso delle cose comuni.E'  legittima la installazione di autoclave.Possono ritenersi vietate, in difetto del consenso di tutti i condomini, solo le modificazioni che comportino apprezzabile pregiudizio all'uso delle cose comuni, anche alla stregua del criterio della normale tollerabilità. "L'installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un'autoclave nel cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 comma secondo cod. civ. (prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino), atteso che il concetto di "inservibilità" espresso nel citato articolo va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità. (Cass. N° 10445 del 21 ottobre 1998 )."
  4. Uso delle cose comuni. Possono ritenersi vietate, in difetto del consenso di tutti i condomini, solo le modificazioni che comportino apprezzabile pregiudizio all'uso delle cose comuni, anche alla stregua del criterio della normale tollerabilità.     " L'installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un'autoclave nel cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 comma secondo cod. civ. (prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino), atteso che il concetto di "inservibilità" espresso nel citato articolo va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità. (Cass. N° 10445 del 21 ottobre 1998 )".

5.      L'uso delle cose comuni si estende a tutte le facoltà previste dall'articolo 1102 c.c,ma non può mai comportare effetti pregiudizievoli al diritto del singolo condomino di usare il proprio bene."In tema di condominio di edifici, il diritto di uso delle parti comuni del fabbricato condominiale deve essere esercitato in modo da non comportare pregiudizievoli invadenze nella sfera dei coesistenti diritti altrui e, in particolare, dei diritti dominicali spettanti agli altri condomini sulle porzioni del fabbricato medesimo di loro proprietà esclusiva. ( Cass.N° 1805/97)"

  1. Il condomino,che in concreto non arrechi pregiudizio agli altri,può utilizzare il cortile comune per interrarvi un serbatoio o altri impianti."E' legittima la condotta del condomino che abbia fatto uso del cortile, oltre che per immettervi tubi e condutture, anche per scavarvi pozzi o per collocarvi un serbatoio per acqua o per interrarvi un impianto autonomo di riscaldamento o un serbatoio per nafta. L'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando, ad esempio, nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio destinato ad alimentare l'impianto termico del suo appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini né escluda, per gli stessi, la possibilità di fare del cortile lo stesso o analogo uso particolare. (Cass.N°4394/97)".
  2. CONDOMINIO: LA TRASFORMAZIONE COSE COMUNI PER OPERA DEL SINGOLO comporta molestia possessoria quando di fatto disturbi l'esercizio precedente dei poteri degli altri condomini   " La modifica delle modalita' d'esercizio del possesso da parte di uno dei comproprietari di un bene immobile integra una turbativa dei condomini dissenzienti ai fini dell'azione di manutenzione, senza che possa utilmente opporsi l'eccezione "feci sed iure feci" quando la modifica operata sia in contrasto con l'esercizio attuale e limiti i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulla cosa comune. Pertanto, allorquando la cosa comune sia costituita da un piano cantinato destinato ad autorimessa, commette molestia il condomino che ne immuti lo stato di fatto alterando precedenti facolta' di utilizzazione da parte degli altri, quanto a percorrenza areazione, illuminazione, facilita' di manovra (nella specie: chiudendo a muratura lo spazio assegnato per il parcheggio).( Cass.4909/98)"
  3. L’assemblea può disciplinare l’uso delle parti comuni non solo in via generale mediante la approvazione del regolamento, ma anche decidendo di sostituirsi all’amministratore in relazione a specifiche questioni. L’assemblea, come può disciplinare l’uso delle parti comuni con il regolamento di carattere generale, allo stesso modo può regolare l’uso di una determinata cosa, impianto o servizio comune con una singola deliberazione, che sostanzialmente ha natura ed efficacia regolamentari e che è pienamente valida se non menoma i diritti, quali ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. Pur essendo la disciplina dell’uso delle parti comuni riservata alla competenza dell’amministratore, a quest’ultimo l’assemblea può sempre sostituirsi per deliberare in materia di uso delle cose, dei servizi e degli impianti comuni. (Cass. 3424 del 3 aprile 1998 ).
  4. E’ di regola leggitimo l’uso del muro comune per la apposizione di una vetrina in corrispondenza dei locali terranei destinati ad attività commerciale. La nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’articolo 1102 del codice civile non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendosi ritenere conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali improntati al principio della solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti al condominio non potranno fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dall’interesse altrui, il quale pertanto costituisce impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che il suo titolare possa accrescere il pari uso al quale ha diritto. . Pertanto, con particolare riguardo al muro perimetrale dell’edificio – anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi - deve ritenersi che l’apposizione di una vetrina o mostra sul detto muro da parte di un condomino in corrispondenza del proprio locale destinato all’esercizio di attività commerciale non costituisca di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come jus possidendi a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c. c. ( Cass. N° 1499 del 12 febbraio 1998 )

10.  Il singolo condomino può utilizzare il tetto comune per la installazione di antenne ricetrasmittenti, purchè non ecceda i limiti fissati dall’art. 1102 c. c. "In tema di edificio in condominio, posto che il partecipante alla comunione può usare della cosa comune (art. 1102 c. c. ) per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità più intensa rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, e di non impedire l’altrui pari uso, è da ritenere consentita l’installazione di una antenna ricetrasmittente sul tetto comune da parte del singolo condomino radioamatore, a condizione che si verifichi in concreto che per le dimensioni del tetto, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non escluda per gli altri la possibilità di fare del tetto stesso analogo uso particolare. ( Cass. N° 5517 del 5 giugno 1998 )".

11.  Uso delle cose comuni attraverso la locazione delle stesse. La locazione di un locale comune rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione, ove non comporti alterazione apprezzabile dei diritti dei singoli condomini "La conclusione del contratto di locazione di un appartamento condominiale è da considerarsi atto di amministrazione ordinaria, essendo possibile conseguire la finalità del "miglior godimento delle cose comuni" anche attraverso l'accrescimento dell'utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto); ne consegue che, ove l'amministratore del condominio abbia locato il bene condominiale anche in assenza di un preventivo mandato che lo abilitasse a tanto, deve ritenersi valida la ratifica del suddetto contratto di locazione disposta dall'assemblea dei condomini con deliberazione adottata a maggioranza semplice. (Cass.10446 del 21 ottobre 1998 )

12.  Parti comuni dell'edificio. La presunzione disciplinata dall'articolo 1117 c.c. comporta che, quando si sia in presenza di una delle parti contenute negli elenchi formulati da tale norma di legge, sia il singolo proprietario che vanta i suoi diritti esclusivi sul bene a dovere fornire la prova di tale situazione giuridica "In tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene indicato nell'art. 1117 cod. civ., deve fornire la prova della sua asserita proprieta' esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell'usucapione. ( Cass.N°. 11268 del 9 novembre 1998)"

13.  Per configurare la illegittimità dell'uso più intenso della cosa comune, generalmente consentito dall'articolo 1102 c.c. occorre avere riguardo non già alla possibilità che gli altri condomini attuino gli identici atti di godimento, ma bensì all'uso potenziale e cioè alle potenziali forme di utilità che gli altri partecipanti al condominio possono trarre dalle cose comuni. IN tale senso deve ritenersi vietato solo "l'uso più intenso" che comporti apprezzabile ostacolo a dette forme di possibile utilizzazione "La nozione di pari uso della cosa comune che ogni partecipante utilizzando la cosa medesima deve consentire agli altri non va intesa in senso di uso identico, perché l'identità nello spazio e nel tempo potrebbe importare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti e perciò sia da ritenere non consentito a norma dell'art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Cass. N° 11268 del 9 novembre 1998 "

  1.   Parti comuni dell'edificio. La presunzione disciplinata dall'articolo 1117 c.c. comporta che, quando si sia in presenza di una delle parti contenute negli elenchi formulati da tale norma di legge, sia il singolo proprietario che vanta i suoi diritti esclusivi sul bene a dovere fornire la prova di tale situazione giuridica."In tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene indicato nell'art. 1117 cod. civ., deve fornire la prova della sua asserita proprieta' esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell'usucapione. Per configurare la illegittimità dell'uso più intenso della cosa comune, generalmente consentito dall'articolo 1102 c.c. occorre avere riguardo non già alla possibilità che gli altri condomini attuino gli identici atti di godimento, ma bensì all'uso potenziale e cioè alle potenziali forme di utilità che gli altri partecipanti al condominio possono trarre dalle cose comuni. In tale senso deve ritenersi vietato solo "l'uso più intenso" che comporti apprezzabile ostacolo a dette forme di possibile utilizzazione.La nozione di pari uso della cosa comune che ogni partecipante utilizzando la cosa medesima deve consentire agli altri non va intesa in senso di uso identico, perché l'identità nello spazio e nel tempo potrebbe importare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti e perciò sia da ritenere non consentito a norma dell'art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. ( Cass. N° 11268 del 9 novembre 1998 )                                       

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