MURI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Abbattimento; b) Aperture; c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature; d) Costruzione in appoggio; e) Distanze legali; f) Facciata; g) In parte proprietà comune ed in parte proprietà esclusiva; h) Intercapedini; i) Luci; l) Muro di sostegno del giardino; m) Muro divisorio; n) Nozione di muri maestri; o) Nozione di muri perimetrali; p) Parapetti alla sommità dell’edificio; q) Pareti esterne; r) Sopraelevazione; s) Spese; t) Utilizzo.
a) Abbattimento.
L’abbattimento di muro perimetrale di edificio
condominiale in cemento armato ad opera di un condomino - ravvisabile anche nel
caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto
muro - incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nell’ambito
dell’art. 1102 cod. civ., che, nel regolare i diritti dei partecipanti alla
comunione al fine di salvaguardare l’interesse comune e quello dei singoli
consente solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bensì
costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120
cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741, Di Chiara c.
Severino.
La norma contenuta nell’art. 1102 c.c., nel sancire
il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune,
purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a
tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente
quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa
consistenza e struttura. Ne consegue che l’abbattimento di un muro portante di
un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella specie, da travi in
ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua
funzione, non può farsi rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al singolo
partecipante alla comunione dal citato art. 1102 c.c., ma costituisce vera e
propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120
c.c.
*Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497, Martino c.
Ghio.
b) Aperture.
In tema di utilizzazione del muro perimetrale
dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso
indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e
1122 del cod. civ., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per
mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti
nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto
tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di
recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù (di passaggio) a
carico della proprietà condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre
1988, n. 5780, Parr. SS. Vito M. c. Cond. Via Fratt. Conf., Cass. civ., sez. II,
13 gennaio 1995, n. 360.
Qualora l’apertura del muro perimetrale comune di un
edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino per mettere in
comunicazione una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà con un’altra
unità compresa in un diverso fabbricato, l’uso del muro comune non può ritenersi
consentito a norma dell’art. 1102 c.c. in quanto non si risolve in un semplice
maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta
a sopperire ai bisogni di un bene al quale non è legato da alcun rapporto,
venendo inoltre il muro e, quindi, le parti comuni del fabbricato, quali le
fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e
propria servitù a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima
costituzione, vertendosi in tema di diritti reali immobiliari, è richiesta a
pena di nullità la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i
partecipi.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c.
Alessandri.
Costituisce uso indebito della cosa comune, non
consentito, quindi, dalla norma dell’art. 1102 cod. civ., l’apertura praticata
da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano
dell’edificio condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in
quanto tale apertura viene a creare una servitù a carico del condominio, per la
cui costituzione è richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione
risultante da atto scritto a pena di nullità.
* Cass. civ., sez. II, 11
giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
L’apertura di una porta o di una finestra da parte
di un condomino o la trasformazione di una finestra che prospetta il cortile
comune in una porta di accesso al medesimo mediante l’abbattimento del
corrispondente tratto di muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo
appartamento non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere
il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112. Castellana c.
Marraffa.
Il condomino può aprire nel muro comune
dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per sé non incidenti sulla destinazione della cosa, non
pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio.
* Cass. civ., sez.
II, 21 maggio 1994, n. 4996. Borgato c. Cond. Il Casone di
Cernobbio.
Il comproprietario o compossessore non può servirsi
di un’area comune per accedere, attraverso un’apertura appositamente creata in
un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva proprietà o di suo
esclusivo possesso, diverso dal fondo al cui servizio l’area venne
originariamente creata, perché ciò si risolverebbe nella costituzione di una
vera e propria servitù di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del
compossesso altrui.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973,
Gianella c. Bickler.
L’apertura di varchi e l’installazione di porte o
cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale
eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare
di sua proprietà esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune
suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per
costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi
dell’art. 1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che
tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una
interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato
creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità
immobiliare da parte del suo proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 29aprile
1994, n. 4155, D’Urso c. Di Giacomo.
I muri che delimitano il complesso condominiale,
costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi natura di muri
portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove
realizzando un passaggio con un immobile di appartenenza dello stesso condomino
ma estraneo al condominio, possano dar luogo, attraverso il prolungato possesso,
ad acquisto di servitù a carico dell’entità condominiale che
circoscrivono.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628, Magnetto
c. Fazzini.
Nell’applicazione delle regole di cui all’art. 1102
cod. civ. il giudice non può limitarsi ad esaminare se le modificazioni
apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o
della sua proprietà singola siano o meno suscettibili di compromettere la
stabilità e l’estetica dell’edificio in base all’assetto attuale; ma deve invece
accertare, in base all’esame della destinazione attualmente impressa in concreto
alla cosa comune, nonché in base alle ragionevoli prospettive offerte
dall’oggettiva struttura, ubicazione e destinazione delle proprietà individuali
e tenendo conto, altresì, delle aspettative desumibili dall’uso che ciascun
condomino faccia della sua proprietà o da allegati apprezzabili mutamenti, se
siano prevedibili modificazioni uguali o analoghe da parte degli altri condomini
e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o in via di
attuazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, è
stata ritenuta corretta la decisione di merito che ha ritenuto legittima
l’apertura nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile comune alla
proprietà esclusiva del condomino non risultando impedito l’uso da parte degli
altri condomini né del muro perimetrale né del cortile).
* Cass. civ.,
sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
Il condomino di un edificio, essendo comproprietario
dell’intero muro perimetrale comune e non della sola parte di esso
corrispondente alla sua esclusiva proprietà, può apportare a tale muro, senza
bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche
che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva
rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche
all’apertura nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali
di proprietà esclusiva, purché non impedisca agli altri condomini di continuare
nell’esercizio dell’uso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non
alteri la normale destinazione del muro medesimo.
* Cass. civ., sez. II, 4
marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
In presenza di aperture nel muro comune di un
edificio in condominio eseguite da un condomino in corrispondenza della propria
proprietà individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture
subisca lesione nei propri diritti può chiederne la modificazione o
l’eliminazione nei confronti del singolo condomino che l’apertura ha eseguito,
ma non può, neppure citando in giudizio l’intero condominio, invocare a
fondamento del proprio diritto la violazione del decoro architettonico
dell’edificio condominiale a cui è estraneo, in quanto il decoro architettonico
rappresenta solo un limite fissato alla facoltà, individuale e collettiva, di
apportare modificazioni all’edificio condominiale per il miglioramento, l’uso
più comodo o il maggior rendimento delle sue parti, di proprietà comune o di
proprietà singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio
e non è opponibile dai terzi.
* Cass. civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n.
255, Lasagni c. Cattini.
L’apertura di nuove finestre o la trasformazione di
quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali (nella specie, un
pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi
prospettano), in corrispondenza della proprietà del singolo, costituisce
esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non
trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt.
900. 907, cod. civ.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle
parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che
l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il
decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri
condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre
1982, n. 6929. Pochy Rianò c. Giannandrea.
L’apertura di un arco nel muro perimetrale di
edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per accedere in altra sua
proprietà esclusiva, estranea al condominio, costituisce un indebito uso di tale
muro, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del
fabbricato condominiale, assoggettandolo a quel passaggio in favore di un bene
non compreso in detto fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente
diritto reale a carico dell’immobile condominiale.
* Cass. civ.. sez. II,
8 aprile 1982, n. 2175, Grimaldi c. Castiglione.
Il proprietario di un edificio e del pertinente
cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario di un edificio
latistante, del muro di recinzione del cortile del quale occasionalmente
beneficia quest’ultimo edificio, non abbisogna a norma dell’art. 1120 cod. civ.
del consenso del partecipante alla comunione del muro per aprire in esso un
varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal
proprio stabile alla strada, ricorrendo l’applicazione della norma dell’art.
1102 cod. civ. sull’uso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5
febbraio 1982, n. 674, Lunardini c. Collina.
Salva l’opposizione, per motivi di sicurezza o di
estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condominio è consentito di
aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul
cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e
dividere la proprietà individuale di un condominio dalla proprietà individuale
di altro condominio, ricorrono anche gli estremi per l’applicabilità dell’art.
903, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che, in tal caso, l’apertura
della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste
dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a
tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l’uso delle
cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma
del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in
considerazione dell’interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà
individuale.
* Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819, Gallo c.
Cicatelli.
L’apertura di un vano nel muro perimetrale di
edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in corrispondenza
dell’androne comune per accedere in altra sua proprietà contigua, estranea al
condominio, costituisce un indebito uso del muro medesimo, in quanto ne altera
la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale,
assoggettandolo a passaggio in favore di bene non compreso in detto
fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339, Valeriani c.
Valeriani.
L’apertura di finestre lucifere da parte del
proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale comune
dell’edificio condominiale non comporta mutamento dell’essenza strutturale e
funzionale del muro stesso e deve perciò ritenersi operata legittimamente anche
senza il consenso degli altri condomini, sempreché non sia vietata da
convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio, non pregiudichi
il decoro, l’estetica o la stabilità dell’edificio e non ostacoli l’esercizio
del concorrente diritto degli altri condomini.
*Cass. civ., sez. II, 24
gennaio 1980, n. 597, Capria c.Laiacona.
La realizzazione di un’apertura nel muro perimetrale
dell’edificio condominiale, che metta in comunicazione - senza pregiudizio per
la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio - l’appartamento di
proprietà esclusiva con il giardino "annesso", attuando un collegamento tra
entità principale ed entità accessoria costituenti un’unica entità condominiale,
si configura come atto di godimento rivolto ad una maggiore e più intensa
utilizzazione della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1978,
n. 4592.
Il condomino di un edificio non può, eseguendo una
costruzione in aderenza al muro perimetrale comune, chiudere un’apertura
destinata a dare luce ad un vano di proprietà di altro condomino, giacché l’art.
1102 c.c. gli vieta di attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune
dell’edificio, con correlativo impedimento per un altro condomino di continuare
a farne uso in conformità alla sua destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 22
aprile 1975, n. 1560.
Nella controversia concernente la legittimità di
un’apertura praticata nel muro perimetrale di un edificio condominiale da uno
dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio appartamento con altro,
di sua proprietà, posto in un edificio attiguo, oggetto di diverso condominio,
non è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di
quest’ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n.
3274.
Non è consentito ad un condomino, senza il consenso
degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale un’apertura in modo tale
da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra di
loro.
* Trib. civ. Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314, Marchesi c.
Burzi.
Ciascun condomino, purché nel rispetto dei limiti di
cui all’art. 1102 cod. civ., può, senza necessità di preventiva autorizzazione
condominiale, aprire una porta nel muro comune.
* Trib. civ. Genova, sez.
III, 18 luglio 1990, n. 2263, Mazzei e altra c. Condominio di Via La Spezia 4-6,
Genova, in Arch. loc. e cond. 1990, 744.
A differenza dalle innovazioni - configurate dalle
nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle
parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione
originaria, e che debbono essere deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1,
c.c.) nell’interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni
dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal
singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di
conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non
impediscano l’altrui pari uso. Pertanto, è legittima l’apertura di vetrine da
esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è
destinato all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino
mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà
esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa
dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza
di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di
utilizzazione del muro comune.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n.
1554, Astori c. Condominio di Corso Rosselli n. 1 in Torino, in Arch. loc. e
cond. 1997, 411.
c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature.
Il comportamento della società di distribuzione del
gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessità la diramazione per la
fornitura del gas ad un utente condominiale anziché nella "presa" già
predisposta sulla montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata
per l’utenza di un singolo condomino, presenta i caratteri della turbativa e
molestia del godimento cui ha diritto quest’ultimo sulla parte dei muri
perimetrali dell’immobile attraversati dalle condutture del gas.
* Pret.
civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31, Germinano c. Italgas Sud Spa, in Arch.
loc. e cond. 1989, 141.
L’esecuzione nei muri comuni di tracce e canali per
l’incasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse comune configura
l’ipotesi di cui all’art. 1102 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 giugno 1991, in
Arch. loc. e cond. 1991, 592.
Le opere di canalizzazione murata comprendenti gli
impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli dell’antenna televisiva
non possono considerarsi delle innovazioni.
* Trib. civ. Milano, 17 giugno
1991, in L’Amm. 1991, n. 8.
Costituisce uso legittimo della cosa comune, ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c., l’utilizzazione dei
muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo
scarico di acque o per il passaggio del gas. nonché sfiatatoi per evitare il
ristagno di odori.
* Trib. civ. Trani. 19 gennaio 1991, n. 104, in Arch.
loc. e cond. 1991, 120.
d) Costruzione in appoggio.
L’illegittima costruzione in appoggio al muro
perimetrale dell’edificio condominiale, eseguita dal condomino che sia anche
proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, può dar luogo alla
costituzione per usucapione di una servitù a favore del fondo di proprietà
esclusiva ed a carico di quello di proprietà condominiale e, comportando un uso
della cosa comune in violazione dell’art. 1102 cod. civ., costituisce una
lesione del diritto di proprietà degli altri condomini, la quale, salvi gli
effetti dell’usucapione, è perseguibile senza limiti temporali quanto al diritto
di ottenere la rimozione dell’opera illegittima, mentre il diritto al
risarcimento del danno, conseguendo ad un illecito permanente, dato
dall’iniziale comportamento lesivo e dalla successiva omessa eliminazione della
situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro rata temporis.
* Cass.
civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427, Lippi c. Picecco e altro.
Non può essere ravvisata una costruzione in
appoggio, qualora tra i due muri vicini esista un’intercapedine di cinque
centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana,
salvo che sia accertata l’interdipendenza delle due strutture murarie per
l’eventuale "ammorsamento" dei solai di copertura ed il ridotto spessore del
nuovo muro in corrispondenza della più consistente struttura
preesistente.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1977, n.
5152.
In tema di appoggio di costruzione al muro comune,
l’art. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti instaurata ovvero si
presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove
non rientra nella sua fattispecie quella particolare forma di comunione
costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale si trovi ad essere
compartecipe della proprietà del muro maestro di un fabbricato il proprietario
esclusivo di un fondo confinante. Costui, dato che i muri maestri dell’edificio
condominiale sono destinati essenzialmente e soltanto al servizio dell’edificio
stesso, può utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di
piano, a lui appartenente, ma non può avvalersene, senza il consenso degli altri
condomini, per l’utilità dell’altro, distinto immobile di cui egli solo, e non
anche gli altri condomini, vanta la proprietà; ciò comporterebbe, infatti, la
costituzione di una servitù a favore di un bene estraneo al condominio,
costituzione che non può legittimamente avvenire senza il consenso di tutti i
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n.
3378.
Il diritto di comproprietà dei condomini sulle parti
comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei condomini, in violazione
delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto l’utilità che può dare la cosa
comune a vantaggio di altra diversa e distinta sua proprietà contigua. (Nella
specie uno dei condomini aveva costruito in un cortile di sua esclusiva
proprietà un manufatto in appoggio al muro perimetrale comune).
* Cass.
civ., sez. II, 24agosto 1981, n. 4985, Romanello c. Meloni.
La nuova costruzione, che risulti in appoggio (o in
aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta del vicino bensì ad
un muro - a questo addossato - dello stesso proprietario della costruzione, non
è soggetta all’osservanza della distanza verticale di tre metri dalla soglia
della veduta prescritta dal terzo comma dell’art. 907 c.c., che trova
applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al muro nel quale si
trova la veduta, bensì deve rispettare da questa la distanza di tre metri in
linea orizzontale misurata a norma dell’art. 905 c.c., come disposto dal primo
comma dell’art. 907 c.c., ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in
altezza il livello della veduta, si elevi in linea verticale oltre la distanza
di tre metri dalla soglia della veduta stessa.
* Cass. civ., sez. II, 23
ottobre 1991, n. 11217, Quattrone c. Vitrioli.
È in appoggio la costruzione che scarica sul muro
del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa, mentre è in
aderenza quella che è posta in semplice e totale combaciamento con il muro del
vicino, rispetto al quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la
conseguenza dell’indipendenza del regime giuridico delle due proprietà contigue,
si che il perimento o la demolizione dell’una possano verificarsi senza che
l’integrità dell’altra ne sia compromessa. Ciò premesso, deve ritenersi in
appoggio anche la costruzione che gravi col suo peso sulle fondazioni della
fabbrica del vicino.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n.
3177.
e) Distanze legali.
L’art. 884 c.c., è una norma speciale di stretta
interpretazione, che per la fattispecie da esso disciplinata, deroga alle norme
generali sulla comunione fra cui l’art. 1102 c.c., che regola l’uso della cosa
comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Nelle zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n.
1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare applicazione le disposizioni
dell’art. 884 cod. civ. che consentono al comproprietario del muro comune di
immettervi travi, nonché di attraversare il muro "con chiavi e catene di
rinforzo", trattandosi di disciplina inoperante nelle zone sismiche per la
prevalenza della relativa specifica legislazione.
* Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1983, n. 252, Mirabile c. Cutroni.
A norma dell’ art. 884 c.c. - che va applicato per
intero, non per parti separate, in quanto l’ultimo comma stabilisce le
condizioni di illiceità, richieste, fra l’altro, per le aperture di incavi nel
muro comune previste nel primo comma - il comproprietario, senza l’adempimento
di alcuna preventiva formalità, può legittimamente praticare nel muro comune gli
incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi.
* Cass. civ.,
sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Il comproprietario del muro comune non può praticare
incavi che oltrepassino la metà dello spessore del muro.
* Cass. civ.,
sez. II, 11 novembre 1970, n. 2362.
La facoltà di innalzamento del muro comune, prevista
dall’art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze
legali stabilite specificamente per le vedute, dall’art. 907 dello stesso
codice. Pertanto l’innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un
lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed
inequivocamente all’esercizio della servitù di veduta, non può essere
consentito, risolvendosi in un impedimento all’esercizio del corrispondente
diritto da parte del proprietario del fondo dominante.
* Cass. civ., sez.
II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
f) Facciata.
La facciata e il relativo decoro architettonico di
un edificio costituiscono un modo di essere dell’immobile e così un elemento del
modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della
facciata, comportando una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una
indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria.
* Cass. civ., sez.
II, 22 giugno 1995, n. 7069, D’Alessandria c. Michienzi. Conf., Cass. civ., sez.
II, 10 luglio 1985, n. 4109, Rossattini c. Meneghini.
La facciata di prospetto di un edificio - abbia o
meno valore architettonico o decorativo - rientra nella categoria dei muri
maestri, dei quali è cenno espresso nel n. 1 dell’art. 1117 c.c., e forma,
conseguentemente, oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani
o porzione di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro,
conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento
dell’intonaco.
* Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n.
298.
Ai fini della validità della deliberazione
dell’assemblea dei condomini che abbia disposto la esecuzione dei lavori di
rifacimento della facciata dell’edificio condominiale, è necessario che il
relativo argomento sia stato specificamente inserito nell’avviso di convocazione
dell’assemblea, in quanto, riguardando la materia della amministrazione
straordinaria del bene comune, non può ritenersi compreso nella dizione
"varie".
* Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1986, n. 4316. Borsellino c.
Cond. Vitt. Agrig.
Il criterio di ripartizione delle spese di cui
all’art. 1123 c.c., con riguardo all’ipotesi di cui al comma secondo, può
trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte
comune dell’edificio e quindi anche alla facciata, in guisa che i condomini
siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non in
base ai valori millesimali, ma in ragione dell’utilità che la cosa comune sia
obiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive,
laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i partecipanti alla
comunione secondo il criterio generale di cui all’art. 1104 c.c. solo se la cosa
comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a
servire ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole
proprietà. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il
principio surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione
della pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve
ad una duplice funzione, l’una di protezione verso l’esterno dei balconi di
proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici,
l’altra di abbellimento della facciata del fabbricato).
* Cass. civ., sez.
II, 23 dicembre 1992, n. 13655, Cond. Via Petraglione c.
Tardelli.
La domanda proposta da un condomino nei confronti di
altro condomino per ottenere la riduzione in pristino della facciata
dell’edificio condominiale, ove comporti l’accertamento del diritto del
condomino convenuto di modificare sostanzialmente la facciata dell’edificio in
forza del proprio titolo d’acquisto, essendo destinata ad incidere sui diritti
su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di
tutti, perché investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la
conseguenza che deve disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti
dei condomini pretermessi a norma dell’art. 102 c.p.c.
* Cass. civ., sez.
II, 21 ottobre 1992, n. 11509, Comparini c. Ponzoni.
Non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria,
ai sensi dell’art. 1121 cod. civ., il rivestimento in travertino della facciata
dello stabile condominiale fino all’altezza di m. 2,65; a maggior ragione non
costituisce innovazione gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in
marmo già esistente.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via
Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli, in Arch. loc. e cond. 1986,
500.
Qualora un condominio sia formato da parti edificali
distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non possono essere
ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà.
* Trib.
civ. Milano, 21 marzo 1991, in L’Amm. 1991, n. 5.
Deve considerarsi valida la delibera assembleare che
ha conferito all’amministratore l’incarico di direttore dei lavori da eseguirsi
sulle facciate condominiali.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in
L’Amm. 1990, n. 5.
In materia di condominio i proprietari dei boxes,
situati in corpo di fabbrica separato e retrostante, sono tenuti a contribuire
alle spese di conservazione e di manutenzione della facciata, indipendentemente
dal fatto che essi debbano o meno passare all’interno dell’edificio di cui essa
faccia parte.
* Trib. civ. Milano 18 novembre 1991, in Giust. civ. 1992,
I, 3181.
g) In parte proprietà comune ed in parte proprietà esclusiva.
Qualora un muro sia in parte in proprietà comune ed
in parte in proprietà esclusiva, il comproprietario non può effettuare opere
sulla parte di sua proprietà esclusiva, che pregiudichino la stabilità della
parte comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1978, n.
4688.
h) Intercapedini.
A meno che non risulti diversamente dal titolo,
l’intercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento del terreno
che circonda i piani interrati o seminterrati dell’edificio ed il muro che
delimita questi piani deve considerarsi comune ai proprietari delle unità
immobiliari dell’intero edificio quando sia in concreto accertato che è
destinata a fare circolare l’aria e ad evitare umidità ed infiltrazioni d’acqua
sia a vantaggio dei piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle
fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per l’esistenza di tutto il
fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1996, n. 4391, Ascanio c.
Soc. Finpas.
i) Luci.
Ogni trasformazione che rende interna una luce che
prima era esterna, ne riduce, di regola, l’utilità perché impedisce di ricevere
luce ed aria direttamente dall’esterno, sicché, quando la trasformazione
riguarda il muro comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce,
illecitamente eccede l’ambito dei poteri di utilizzazione della cosa comune, che
l’art. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia
alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso
di tale cosa secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio
1993, n. 5223, Calafiore c. Pulitanò.
l) Muro di sostegno del giardino.
In tema di condominio negli edifici, la circostanza
che un "muro di sostegno" di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un
sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per
sé sufficiente all’inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi
dell’art. 1117 cod. civ., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle
spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a
svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli
interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni
solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i
condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.
*Cass. civ.,
sez. II, 19 gennaio 1985, n. 145, Cond. Le Terraz. c.
Alessandroni.
m) Muro divisorio.
In tema di condominio negli edifici, debbono
comprendersi tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, di cui
all’art. 1117 n. 1 cod. civ. – la destinazione delle quali, a norma del
precedente art. 1102, non può essere alterata dal singolo condomino - le parti
definite come tali dal titolo o aventi un’oggettiva attitudine al servizio ed al
godimento collettivo. Tra esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni,
delimitante un terreno di proprietà esclusiva di un condomino, ove risulti
inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di cinta, e idoneo
soltanto a delimitare la detta proprietà esclusiva come muro divisorio.
*
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 577, Imperati c.
Acampora.
Nell’ordinamento vigente non esiste il principio
della indivisibilità funzionale del muro divisorio: questo «si presume» comune
ma, per ciò stesso, può anche essere oggetto, per convenzione o altro titolo, di
proprietà divisa, in senso verticale od orizzontale.
* Cass. civ., sez.
II, 20 febbraio 1977, n. 2590, Godina c. Corvaglia.
La presunzione del muro divisorio tra due edifici
non viene meno per la demolizione di uno di essi.
* Cass. civ., sez. II, 8
settembre 1977, n. 3915.
La comunione del muro divisorio non va intesa nel
senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del
muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea
di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che
ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell’intero muro, e del
suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di
confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la
demolizione di uno dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di
titolo o di giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad
ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il
comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall’altro
comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive
sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno ed alla restituzione della
parte di suolo comune indebitamente attratta nella sfera della signoria
esclusiva dell’altro condomino, restando esclusa l’applicabilità dell’art. 938
cod. civ., in tema di accessione invertita, che è configurabile in relazione ad
una porzione di fondo di proprietà esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 7
maggio 1988, n. 3393, Nardi c. Mercuri.
La fatiscenza delle strutture interne portanti di un
edificio non può far sì che, per ciò solo, i muri divisori o di "tamponatura"
sottostanti a dette strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea
di sostegno delle medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di
carattere di definitività e di pertinenza, e che riproduce semplicemente uno
stato anormale, di usura, o di pericolo nella statica dell’edificio, impone
semplicemente, a carico dei condomini, l’obbligo di riparare le strutture
originariamente portanti, e divenute fatiscenti, senza incidere — in assenza di
adeguati negozi o atti giuridici — sulla condizione originaria dei diritti sulle
strutture stesse o su quelle adiacenti.
* Cass. civ., 20aprile 1971, n.
1135.
I muri divisori tra le unità immobiliari di
proprietà esclusiva e quelle di proprietà comune negli edifici in condominio non
sono equiparabili né specificamente ai muri maestri né genericamente alle parti
dell’edificio necessarie per l’uso comune ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c.; i
muri divisori suddetti sono soggetti, in applicazione del criterio analogico,
alla disciplina prevista dall’art. 880, c.c., secondo cui si presume comune il
muro di separazione tra entità fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino
proprietario di un locale del piano cantinato destinato a ripostiglio aveva
abbattuto il muro di separazione tra l’androne coperto di proprietà condominiale
e il detto locale per adibire quest’ultimo a garage. I giudici del merito
avevano accolto la domanda di rimessione in pristino e la Corte di cassazione,
rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in massima).
*
Cass. civ., 11 marzo 1975, n. 903.
n) Nozione di muri maestri.
In tema di parti comuni dell’edificio condominiale,
nella nozione di muri maestri di cui all’art. 1117 c.c. rientrano i pannelli
esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali — ancorché la
funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi — sono
anch’essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura
e della linea architettonica dell’edificio. Né siffatta condominialità viene
esclusa dall’essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in
aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente
delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della
disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun
ingerenza dell uno sul muro dell’altro.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio
1982, n. 776.
Nel caso di costruzione in cemento armato,
l’espressione «muro maestro» contenuta nell’art. 1117, c.c., non va riferita
solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce
l’ossatura dell’edificio, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro
materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono insieme il primo
edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalità
pratica.
* Cass. civ., 23aprile 1971, n. 1186.
o)Nozione di muri perimetrali.
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono
destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso di cui costituiscono parte
organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo
condomino solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà
esclusiva, ma non possono essere utilizzati, senza il consenso di tutti i
condomini, per l’utilità di altro immobile di sua esclusiva proprietà non
facente parte del condominio, in quanto ciò implicherebbe la costituzione dì una
servitù in favore di un bene estraneo al condominio. Ne consegue che il
condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione
realizzata su suolo contiguo di sua proprietà esclusiva non può farlo senza il
consenso degli altri condomini, non essendo applicabile la disciplina dell’art.
884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).
* Cass. civ. 26 marzo
1994. n. 2953.
I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur
non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine
della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ., in quanto
determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato
proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie
coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso. Pertanto,
nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in
posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali
dell’immobile.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V.
Teramo c. Soc. Setta.
Poiché le moderne tecniche costruttive in cemento
armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri perimetrali che non è
più quella di assicurare la stabilità dell’edificio bensì soltanto quella di
delimitarlo esternamente, mentre la funzione portante è esercitata dai pilastri
e dalle architravi in conglomerato cementizio, l’abbattimento da parte di un
condominio di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con
porte scorrevoli non comporta, di regola, un alterazione della sua normale
destinazione, vietata dall’art. 1102, c.c., ma costituisce uso normale lecito
della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in
volta può assumere aspetti lesivi dell’integrità dell’edificio quando ne
comprometta la sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche.
*
Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008, Colleschi c.
Tiboni.
I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi
a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei condomini, sono
comuni a tutti i proprietari di unità immobiliari dello stabile, in quanto,
costituendo l’ossatura della costruzione, svolgono una funzione di utilità
comune, anche se, ovviamente, più intensa per coloro che hanno appartamenti
prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali
che devono deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto
di partecipare tutti i condomini dello stabile e non solo quelli che, per la
particolare posizione delle loro unità immobiliari, traggono da detti muri un
vantaggio particolare rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla
naturale funzione degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986,
n. 7402, Bruno c. Silvestri.
I muri perimetrali dell’edificio in condominio — i
quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano
la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica dell’edificio
unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e
ne delineano la sagoma architettonica — sono da considerare comuni a tutti i
condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di
proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o
arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali
esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per
i piani attici.
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n.
839.
I muri perimetrali degli edifici in cemento armato
(cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono compresi fra i muri
maestri definiti comuni dal n. 1 dell’art. 1117 c.c., giacché, pur non avendo
funzione portante, la quale negli edifici anzidetti è assolta principalmente dai
pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica ed essenziale
dell’intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno
«scheletro vuoto» privo di qualsiasi utilità.
* Cass. civ., sez. II, 7
marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
p) Parapetti alla sommità dell’edificio.
Rientrano nell’ambito dei muri condominiali, ex art.
1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla sommità dell’edificio,
svolgendo funzione di coronamento dell’intero stabile, le cui spese di
riparazione debbono essere ripartite fra i condomini ex art. 1123 cod. civ.;
pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini partecipanti
all’assemblea di esonerare alcuni condomini dall’onere di spesa, con pregiudizio
per i proprietari gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti
individuali sindacabili sotto il profilo della nullità.
* Corte app. civ.
Milano, 15 settembre 1989, Condominio di via Fumagalli n. 10, Milano c. Carulli
e altri, in Arch. loc. e cond. 1990, 282.
q) Pareti esterne.
Se possono presumersi oggetto di proprietà comune
anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in quanto essi appaiono
necessari all’esistenza ed alla statica dell’immobile, sono escluse, invece, da
tale presunzione le pareti esterne, le quali abbiano, non già la funzione di
sorreggere l’edificio, ma solamente quella di chiuderne gli ambienti, rispetto a
costruzioni nelle quali l’ossatura dell’edificio sia costituita, anziché
mediante muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento
armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I muri di un edificio in
condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto
divisori di contigui fabbricati, hanno un’utilità limitata a determinate parti
dell’edificio e, interessando in sostanza solo i titolari delle proprietà che
delimitano, possono bensì dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione
parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi
da essi divisi, ma non possono essere considerati (salvo che il contrario non
risulti dal titolo) oggetto di proprietà comune di tutti i proprietari delle
diverse porzioni dell’edificio.
* Cass. civ., 8 novembre 1958, n.
3654.
r)Sopraelevazione.
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono
oggetto di proprietà comune anche nelle parti in cui delimitano un piano
ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perché anche in quelle parti essi
adempiono strutturalmente a una funzione che interessa tutti i partecipanti al
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1978, n. 2475.
s) Spese.
In tema di condominio di edifici, nel caso in cui un
muro portante appartenga in proprietà esclusiva ad uno solo dei partecipanti al
condominio, essendo esso comunque indispensabile per l’esistenza dell’edificio,
con la proprietà esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in
favore di tutti coloro i quali, nell’edificio, sono titolari della proprietà
solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i
condomini — i quali ricavano una utilità dalla cosa, necessaria per l’esistenza
e per la protezione dei loro immobili — sono tenuti a contribuire alle spese per
la con- con-servazione del muro in questione in proporzione alle rispettive
quote, secondo il principio generale enunciato dall’art. 1123 primo comma
c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154, Condominio di via
Conciliazione 26 Putignano c. Vinella Michelangelo.
Mentre l’onere delle spese di riparazione e
ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento dipendenti dal
suo uso normale è, ai sensi dell’art. 882 c.c., a carico di tutti i
comproprietari, in proporzione del diritto di ciascuno, e si trasferisce,
perciò, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si
presenta la necessità della riparazione o della ricostruzione, l’onere delle
spese provocate dal fatto di uno dei partecipanti, essendo connesso alla
responsabilità personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che vi ha
dato causa e non si trasferisce, quindi, solo a causa del trasferimento del
diritto reale, al condomino che gli è succeduto.
* Cass. civ. 30 marzo 1994,
n. 3089.
Le spese per il rifacimento o la riparazione dei
muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i fondi confinanti,
devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione
dell’art. 1123 primo comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura
contrattuale, consideri detti manufatti di proprietà comune, così
convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta.
* Cass. civ., sez. II,
11 agosto 1990, n. 8198, Esibiti c. Cond. V. Gozzano.
In un edificio in condominio, le scale — oggetto di
proprietà comune a norma dell’art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario non risulta
dal titolo — comprendono l’intera relativa «cassa», di cui costituiscono
componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o
meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità
immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne
consegue che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale
importino il rafforzamento delle murature svolgenti anche tale ultima funzione,
con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dall’art. 1124,
primo comma, c.c., salvo che (diversamente che nella specie pervenuta al
giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel suo
complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unità
immobiliari prospicienti il vano scale (e quest’ultimo in tutto o parte
delimitanti), poiché in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante l’applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri
fissati dagli artt. 1123, secondo comma, e 1124, primo comma, c.c.
* Cass.
civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi, in Arch. loc.
e cond. 1997, 623.
t)Utilizzo.
L’utilizzazione, da parte del singolo condomino, del
muro perimetrale dell’edificio per le sue particolari esigenze è legittima
purché non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri
condomini di farne uso analogo e non arrechi danno alle proprietà individuali
dei medesimi altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n.
776.
I muri perimetrali di un edificio in condominio sono
destinati all’esclusivo servizio dell’edificio condominiale, del quale
costituiscono parte organica, e non possono, per loro natura, essere asserviti,
se non nei modi consentiti dalla legge (atto scritto e consenso di tutti i
condomini), ad altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini,
costituente entità economica distinta rispetto all’edificio condominiale.
*
Cass. civ., sez. II, 20 maggio 1978, n. 2504.
Con riguardo al muro perimetrale di un edificio
condominiale, il quale è oggetto di comunione per tutta la sua estensione, ivi
comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di proprietà
individuale, l’utilizzazione del singolo partecipante deve ritenersi preclusa
non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri condomini un
pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una lesione del diritto
di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva (nella specie,
trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un sottostante
appartamento).
* Cass. civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751, De Leo c.
Mele.
Il principio secondo cui l’utilizzazione di parti
comuni e anche di muri divisori dell’edificio condominiale per la realizzazione
di impianti al servizio esclusivo dell’appartamento del singolo condomino esige
il rispetto sia dell’art. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile
sulle distanze per evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sugli
immobili di loro esclusiva proprietà, non è applicabile nell’ipotesi di
installazione degli impianti che sono indispensabili per una effettiva
abitabilità dell’appartamento secondo la evoluzione delle esigenze generali dei
cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene.
* Cass. civ., sez.
II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.
I muri perimetrali di un edificio in condominio
costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la loro estensione.
Pertanto, il proprietario di ciascun piano può utilizzarli anche nella parte
corrispondente ai piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva di altri
condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti dall’art. 1102,
c.c.
* Cass. civ., 8 luglio 1969, n. 2514.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei
singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli
appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti
o trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l’esercizio
della indicata facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non
pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani
inferiori. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla
Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e
luce in danno dell’appartamento sito al piano terra, in conseguenza della
costruzione di balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo
e al se condo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell’edificio
condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della
latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n.
10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
-è consentita al condomino dall’ art. 1102 c.c.
un’ampia utilizzazione della parte del muro perimetrale corrispondente alla
proprietà parziaria, come l’apertura di una finestra o di una porta, oppure
l’applicazione di un’insegna o targa pubblicitaria, assoggettandola al duplice
limite di non alterare la destinazione della cosa comune e di non impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Corte
app. civ. Milano, 20 settembre 1989, n. 1467.
Negli edifici i cui piani appartengono a proprietari
diversi, i muri perimetrali, salvo che il contrario risulti dal titolo, sono
comuni pro indiviso per tutta la loro estensione: né consegue che, ai sensi
dell’art. 1102 c.c., ciascun proprietario dei diversi piani può servirsi, nel
suo interesse, del muro comune anche nella parte rispondente al piano di altro
proprietario, purché tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non
sia contrario agli interessi della comunione e non impedisca l’esercizio degli
altri partecipanti.
* Corte app. civ. Firenze, 21 novembre 1990, n. 1181,
in Arch. loc. e cond. 1991, 103.
In tema di condominio di edifici costituisce
innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma
solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la
trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel
senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa
consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli
precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa
comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più
intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c., che pur dettato in
materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli
edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. (Nella specie la Suprema
Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che
l’apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell’andito di
ingresso dell’edificio condominiale, non alterava l’entità materiale del bene né
modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita modificazione della
cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c.).
*Cass. civ., sez. II, 11 gennaio
1997, n. 240, Botteri ed altro c. Messina ed altro, in Arch. loc. e cond 1997,
433.
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