Riordino Delle Coste

- Risorse del Territorio -

Licata - Blu Garden, 7 dicembre 2000

 

 

 

Onorevoli Deputati, Autorità, Signore e Signori,

Sono Vincenzo Bellavia, Segretario del Collegio dei Geometri della Provincia di Agrigento e porto il saluto del Presidente e del Consiglio tutto.

Desidero ringraziare l’Ing. Di Cara per l’invito rivolto al Collegio, perché mi consente di far sentire in questa sede la voce della categoria che rappresento, manifestandone, così, la posizione nel merito dell’argomento che oggi si discute.

Dico, anzitutto, che il riordino urbanistico edilizio ci sta a cuore come professionisti ma, ancor prima, come cittadini coscienti, che si auspicano la salvaguardia e il rispetto del territorio nel quale vivono e per questo ritengono ben venuta qualunque legge che miri a tali obiettivi.

La Regione Siciliana, per la verità, negli anni passati ha mostrato di essere sensibile a queste problematiche, tant’è che nel 1980 ha emanato la Legge n° 7 del 29 febbraio - titolata «Norme sul riordino urbanistico edilizio», integrandola e modificandola il successivo anno 1981 con la legge n° 70 del 18 aprile.

Le norme contenute in queste due leggi sono state abrogate con la L.R. n° 37/85, che, peraltro, non mira al riordino urbanistico degli insediamenti abusivi, ma chiede semplicemente il pagamento di una oblazione per l’estinzione del reato commmesso.

Già con la Legge 12 giugno 1976 n° 78 la Regione aveva stabilito, al primo comma, lettera a) dell’art. 15, l’inedificabilità assoluta della fascia dei 150 metri dalla battigia. Ma ciò nonostante - a distanza di 24 anni - contiamo lungo tutta la costa siciliana circa 16.000 edifici abusivi [e non i 170mila paventati], per circa 160 mila di metri cubi, più o meno concentrati in alcuni tratti; e, come avviene di solito dalle nostre parti, ci siamo svegliati un bel mattino, ci siamo guardati in giro e abbiamo gridato allo scandalo, minacciando sanzioni e demolizioni; come se nei ventiquattro anni trascorsi avessimo vissuto sulla luna.

Ma, come si dice, "cosa fatta capo ha" e presumere che la pubblica amministrazione possa demolire 16 mila edifici [come pare risulti da un censimento dell’Assessorato per il Territorio e l’Ambiente] e smaltirne i relativi sfabbricidi per circa 100 mila di metri cubi, appare a tutti noi palesemente impossibile: ricordiamo, infatti, il risultato ottenuto, nonostante l’impegno, dai varî Sindaci, dal Genio Civile, dai Prefetti e da quanti altri hanno visto andare deserte le gare d’appalto per la demolizione di piccoli insediamenti abusivi, figuriamoci per i 16mila censiti.

A questo punto arriva il disegno di legge del quale ci occupiamo oggi, che non fa altro che rispolverare, in linea di principio, la 7/80 e la 70/81 [un rapido confronto con l’articolo 1 della L. 7/80 ne evidenzia la sostanziale conformità]. Considerate le precedenti leggi sul condono edilizio, il nuovo D. d. L. si propone, cioè, di provvedere al riordino urbanistico degli insediamenti abusivi realizzati nella fascia costiera, al fine di porre rimedio al degrado ambientale venutosi a creare e consentire la realizzazione di quei servizi primari indispensabili per garantire una vita dignitosa e civile agli abitanti di questi agglomerati.

L’intenzione della legge, quindi, appare cosa buona e giusta; ma è da ritenere che non sia sufficiente a conferirle il carattere di equità nei confronti di tutti i cittadini che si trovano ad avere realizzato una costruzione abusiva nella fascia costiera.

I parametri stabiliti al secondo comma, infatti, prevedono che possono conseguire la regolarizzazione amministrativa solamente quegli edifici che ricadono in agglomerati - perimetrati a cura dei comuni - la cui densità edilizia deve osservare un minimo di 15 mila metri cubi per ettaro, con una superficie coperta minima pari a 1.250 mq. Per fare un esempio che può esserci familiare, diciamo che nel territorio del nostro comune possiamo tranquillamente parlare della zona "Fondachello-Plaia" o di qualche altra limitata di "Mollarella-Poliscia", escludendo tout court il caso - parecchio ricorrente - della casa isolata che non potrà mai essere compresa in un comparto la cui perimetrazione deve osservare i parametri imposti.

Voglio dire che il villino isolato costruito al centro di un lotto - per esempio - di 1000 o 2000 mq. e ad una certa distanza da altre costruzioni e la cui realizzazione non ha - tutto sommato - stravolto il contesto paesaggistico nel quale si è inserito, non potrà conseguire la regolarizzazione amministrativa e, pertanto, dovrà essere soggetto alle sanzioni previste dalle già vigenti leggi [... la demolizione!].

Di contro e nella stragrande maggioranza dei casi, l’agglomerato che risponde ai parametri stabiliti usufruirà delle reti fognanti, idriche ed elettriche, ma continuerà ad usufruire di strade della larghezza di 3 metri [quando va bene!] sulle quali prospettano edifici costruiti in aderenza e senza spazi destinati a verde. Più saranno concentrate le costruzioni e più avranno la possibilità di rientrare nelle perimetrazioni degli agglomerati previsti dal Disegno di Legge.

Ma non solo: gli edicifi che saranno regolarizzati e usufruiranno delle opere di urbanizzazione, subiranno inevitabilmente uno straordinario incremento di valore a spese della collettività e anche a spese di quel cittadino che sarà punito con la demolizione, per aver commesso lo stesso tipo di abuso commesso da un altro 500 metri più in là; perché non è chiaro cosa si intende per «impegno a partecipare al costo delle opere di urbanizzazione ...» contenuto nel 7° comma e considerato che nel periodo seguente dello stesso comma si indicano i fondi da utilizzare per la relativa «necessaria copertura finanziaria».

Tutto ciò appare assolutamente non equo, in quanto, cittadini che hanno commesso lo stesso abuso sono soggetti a trattamenti diversi: si consente, cioè, di regolarizzare edifici facenti parte di grossi agglomerati abusivi, la cui realizzazione ha sicuramente avuto un impatto abientale-paesaggistico di notevole rilevanza e si punisce il cittadino che ha commesso lo stesso abuso senza però compromettere irrimediabilmente il territorio.

Alla luce di queste considerazioni, ritengo di concludere auspicando che l’esame all’Ars del disegno di legge possa condurre ad una revisione dei parametri in esso contenuti in modo tale da estendere la possibilità di regolarizzare anche quelle costruzioni che - di fatto - non hanno stravolto l’ambiente e il paesaggio.

Non chiedo un allegro colpo di spugna indiscriminato; ritengo che il legislatore debba produrre leggi che trattino tutti i cittadini in modo equo e giusto.